Hacker, storia di un malinteso

Molti mass media e il grosso dell'opinione pubblica, identificano con parola hacker, la losca figura del criminale informatico solitamente in felpa nera e cappuccio, sbagliando e non di poco. Perché gli hacker hanno questa reputazione?

Autore

Valentina Nardi

Pubblicato

21/11/2023 03:58 PM

L' idea per questo post nasce dopo la lettura dell'ennesimo articolo dal titolone "attacco hacker" e annessa descrizione di una vicenda cyber criminosa internazionale. Girando nel web si trovano moltissimi contenuti che utilizzato il termine hacker per descrivere un crimine informatico e viene da chiedersi per quale ragione nonostante esista da decenni una parola specifica cracker, si continui a utilizzare quello sbagliato.

Back in time

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando la parola hacker era associata da tutti a qualcosa di molto diverso. Siamo negli USA di metà anni '50: all'interno del Tech Model Railroad Club (TMRC) del MIT, un organizzazione studentesca, inizia a circolare il termine “hacker” per indicare una persona dotata di eccezionali capacità mentali e una passione sfrenata per "scoprire come funzionano le cose e poi padroneggiarle".

Negli anni '60 quando iniziano le ricerche sul computer il termine passa agli addetti ai lavori, i programmatori, senza però smettere di descrivere quelle doti eccezionali legate alla sfrenata passione per il problem solving.

Sempre in questo periodo la parola hacker inizia a circolare anche al di fuori dell'ambiente tecnico e ristretto dei dipartimenti interessati. Il giornale studentesco del MIT per esempio, riporta nel 1963 la notizia in cui i "so-called hackers" causano una riduzione dei servizi telefonici tentando un collegamento tra le l'università di Harvard e il M.I.T Iniziano a diffondersi un senso di hacker buono (white-hat hack) e malintenzionato (black-hat hack) non tanto per distinguere una persona criminale da una onesta, quanto più per descrivere azioni che, anche se per scopi di ricerca, creano un disagio.

Il punto 8 del Jargon File

Dobbiamo arrivare a metà anni '70 per incontrare una traccia che faccia chiaramente riferimento ad un'intenzione incriminabile. Nel 1975 viene pubblicata la prima edizione del Jargon File, un glossario del gergo utilizzato dai programmatori. Alla voce hacker si trovano ben 8 definizioni diverse, 7 positive ricollegabili al concetto white di prima e una negativa. Riportiamo testualmente proprio questa:

8.[deprecated] A malicious meddler who tries to discover sensitive information by poking around. Hence password hacker, network hacker. The correct term for this sense is cracker. Tradotto: 8.[sconsigliato/deprecato] Un impiccione/ficcanaso malintenzionato che cerca di scoprire informazioni sensibili frugando in giro. Quindi password hacker, hacker di rete. Il termine corretto per questo senso è cracker.

Da questa definizione si intuiscono due cose. La prima è che c'è la piena consapevolezza dell'esistenza di un lato illecito dell' hacking tanto da metterlo nero su bianco. La seconda è che si tenta di emarginare il problema dandogli un nome diverso per non intaccare l'intera categoria. Cracker appunto.

From Hero to Zero

Con queste premesse arriviamo agli anni '80.Nel 1984 esce un libro dello scrittore giornalista Steven Levy che avrà molto successo intitolato Hackers: Heroes of the Computer Revolution A raccontare il ruolo dei media nella distorsione della parola hacker sarà lo stesso Levy nel 1993 quando, in una nuova edizione del medesimo libro, scrive:

"la divulgazione del termine è stata un disastro. Perché? La parola “hacker” aveva acquisito una connotazione specifica e negativa. I guai sono iniziati con alcuni arresti ben pubblicizzati di adolescenti che si sono avventurati elettronicamente in terreni digitali proibiti, come i sistemi informatici del governo. Era comprensibile che i giornalisti che coprivano queste storie si riferissero ai giovani criminali chiamandoli hacker. Dopotutto, è così che si chiamavano i ragazzi. Ma la parola è diventata rapidamente sinonimo di "intruso digitale".

Quel senso del nero=malevolo nato negli anni '60, l'assonanza tra hack e attack e la caccia allo scoop sul trend del momento (ricordiamo che nei primi anni 80 in America inizia la commercializzazione del Commodore '64) sono la miscela micidiale che rende l' hacker il super villan dell'informatica con l'inseparabile felpa con cappuccio, meglio se nera.

Gli anni '80 sono un periodo in cui i mass media rappresentano un filtro potente per l'opinione pubblica e se decidono di mettere in luce solo un aspetto di un fatto ci riescono benissimo.

Un barlume di positività e di ritorno alle origini intorno al concetto di hack si è creato nei primi anni 2000 con la diffusione dell'espressione - life hacks o life hacking utilizzata per descrivere metodi che risolvono problemi quotidiani, aumentandone la produttività e l'efficienza. Per capirci sono quei video che spopolano su Youtube o Tik Tok che ci mostrano come fare qualsiasi cosa in modo semplice e veloce. Ma le cose per gli hacker informatici non sono cambiate.

Che parole utilizzare per descrivere i criminali informatici?

Lanciamo un appello a tutti i nostri lettori. D'ora in avanti per descrivere un soggetto che mette le sue incredibili capacità intellettuali e informatiche a servizio della criminalità organizzata utilizzate le parole cracker, cyber criminale o criminale informatico.

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